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Dipendenti e retribuzioni, lavoratori sempre più poveri

Imprese

Nelle Marche nel 2019 sono occupati 433 mila lavoratori dipendenti privati. Un numero che continua a crescere, con un incremento di circa 4 mila lavoratori, pari a +0,8% rispetto all’anno precedente. Un dato positivo anche se inferiore al trend nazionale.

E’ quanto emerge dai dati elaborati da Elisa Marchetti dell’IRES CGIL Marche e forniti dall’INPS.

 

In dieci anni, gli occupati dipendenti nella regione sono aumentati del 2,3% (+9.541); il dato, seppur positivo, è decisamente inferiore a quello riferito al Centro Italia (+10,1%) e a quello nazionale (+8,8%).

Nonostante la crescita, infatti, il numero degli occupati dipendenti marchigiani resta ancora inferiore a quello del 2008, anno di inizio della crisi, quando si registravano oltre 435 mila lavoratori.

I lavoratori di genere maschile sono 241 mila, pari al 55,7% del totale mentre le lavoratrici sono 192 mila, pari al 44,3%. I giovani lavoratori con meno di 29 anni sono 86 mila e rappresentano il 19,8% del totale (10 anni fa rappresentavano il 24,0%).

 

Osservando le tipologie contrattuali emerge che 148 mila lavoratori, ovvero più di uno su tre, hanno un rapporto di lavoro part time.

I lavoratori part time sono sostanzialmente stabili rispetto al 2018 (+0,5%) ma sono notevolmente cresciuti rispetto al 2009 (46 mila lavoratori in più, pari a +44,6%). Questi lavoratori  rappresentano il 34,2% dei lavoratori complessivi (erano 24,2% nel 2009).

I lavoratori con contratto di lavoro a termine sono 100 mila, pari al 23,2% del totale (19,1% nel nel 2009), diminuiti rispetto all’anno precedente di 12 mila unità (-10,9%) ma ancora notevolmente al si sopra di 10 anni fa: 19mila in più (+24,1%).

I lavoratori stagionali sono 14 mila, in continua crescita e più che triplicati in 10 anni.

I lavoratori somministrati sono 29 mila (-9,5% rispetto al 2018) e costituiscono il 6,2% del complesso dei lavoratori dipendenti e sono quasi esclusivamente precari.

Rilevante anche il numero dei lavoratori intermittenti: oltre 36 mila, 2 mila in più in un anno (+6,6%) e che rappresentano l’8,4% del totale dei lavoratori.

Coloro che hanno un contratto a tempo pieno e indeterminato sono 223 mila, pari al 51,5%, ovvero la metà del complesso dei lavoratori dipendenti (erano il 62,7% nel 2009) e sono 42 mila in meno rispetto a 10 anni fa (-16,1%).

 

Come evidenziano Daniela Barbaresi, Segretaria Generale della CGIL Marche e Giuseppe Santarelli, Segretario regionale, responsabile del Mercato del Lavoro: “pur con alcuni miglioramenti nel 2019, la ripresa occupazionale degli ultimi anni è rappresentata prevalentemente da rapporti di lavoro precari, discontinui e a tempo parziale che hanno pesantemente eroso i rapporti di lavoro stabili e a tempo pieno che ormai interessano solo un lavoratore su due.

“Dunque, parlare solo di numero di occupati non basta più, se non si valuta anche la qualità dei rapporti di lavoro e il numero di ore lavorate, mentre è cresciuto prepotentemente il lavoro povero”.

 

Peraltro il lavoro precario e parziale ha in impatto con forti differenze di genere e generazionali, infatti solo una lavoratrice su tre ha un lavoro a tempo pieno e indeterminato. Lo stesso vale per i giovani con meno di 29 anni che hanno pagato il prezzo più alto della crisi e della destrutturazione del lavoro.

 

Aggiungono Barbaresi e Santarelli: “nelle Marche è necessario invertire al più presto queste tendenze. La sfida della competitività non può che passare attraverso la qualità del lavoro e dell’occupazione, e sulla valorizzazione delle competenze che il lavoro può e deve esprimere: su questo terreno, il sistema produttivo marchigiano si gioca il futuro”.

 

Osservando i singoli settori, emergono trend molto diversificati. Nell’industria manifatturiera crescono i lavoratori nella meccanica (+2,2%) e in misura più contenuta nel mobile (+0,5%) e nel settore chimico-gomma-plastica (+0,2%), mentre diminuiscono ancora nel calzaturiero-abbigliamento (-2,9%).

In crescita anche l’edilizia (+3,4%) così come complessivamente in crescita il terziario, dove però è particolarmente diffuso il lavoro a tempo parziale e precario. In crescita il turismo e ristorazione (+3,4%) e il commercio (+0,4%), mentre dopo anni di forte crescita, registrano un calo gli studi professionali e altri servizi per le imprese (-1,7%) e i servizi sanitari e socio-sanitari (-0,8%).

 

Negli ultimi dieci anni lo scenario è cambiato profondamente.

In particolare, nell’industria manifatturiera si sono persi 20 mila lavoratori dipendenti (pari a -11,4%) e il pesante calo ha interessato tutti i settori, salvo quello chimico-farmaceutico.

Particolarmente preoccupante la contrazione nei settori tradizionalmente più rilevanti: nel calzaturiero-abbigliamento si sono persi ben 14 mila lavoratori e lavoratrici, cioè quasi un terzo della sua forza lavoro (-29,7%), altri 4 mila nella meccanica (-5,5%) e altri mille nel mobile (-5,3%) e nell’industria agroalimentare.

Rilevante la contrazione registrata nel decennio anche nell’edilizia, settore che ha perso ben 10 mila unità di personale, cioè un terzo del suo bacino di lavoratori (-31,9%), e dove la lentezza nei processi di ricostruzione post sisma rende evidente come siano ancora marginali nell’anno 2019 gli effetti sull’occupazione.

 

Completamente diverso è lo scenario nel complesso dei servizi, dove si assiste a un incremento significativo del numero dei lavoratori dipendenti, con 38 mila unità in più in 10 anni (+18,3%), accentuando il processo di terziarizzazione del tessuto economico e occupazionale.

Crescono in misura rilevante i lavoratori nelle attività informatiche, ricerca, studi professionali e servizi alle imprese con 15 mila lavoratori in più rispetto al 2009 (+37,4%);  significativo incremento dei lavoratori anche nel settore degli alberghi e ristorazione, con 12 mila unità in più nel decennio (+33,0%) e nel settore dell’assistenza sanitaria e sociale, con 7 mila lavoratori in più (+47,4%). In crescita e anche i servizi a persone e famiglie, con mille lavoratori in più (+15,4%) e il commercio con oltre 2 mila addetti in più (+3,9%).

Sono invece diminuiti i dipendenti nell’ambito delle attività finanziarie e assicurative, 2 mila lavoratori in meno (-15,9%).

 

Le retribuzioni medie lorde annue percepite nelle Marche sono pari a 19.517 euro e sono significativamente inferiori sia al valore medio delle regioni del Centro (-1.734 euro lordi l’anno) che a quello medio nazionale (-2.447 euro).

I lavoratori con un lavoro a tempo parziale percepiscono mediamente retribuzioni di 10.950 euro lordi annui, mentre quelli che hanno un contratto di lavoro a tempo determinato percepiscono mediamente 9.022 euro lordi annui. Le retribuzioni medie lorde dei lavoratori somministrati sono di 8.768 euro, mentre quelle dei lavoratori intermittenti sono di 1.941 euro lordi annui.

I lavoratori con contratto a tempo pieno e indeterminato ricevono una retribuzione lorda annua di 27.758 euro.

 

Notevoli le differenze per qualifiche professionali: le retribuzioni degli operai sono di 16.130 euro lordi annui e quelle degli impiegati sono di 24.209 euro; le retribuzioni dei quadri arrivano a 61.049 euro lordi mentre quelle dei dirigenti sono mediamente di 130.502 euro. Gli apprendisti percepiscono 12.833 euro annui medi. La retribuzione dei dirigenti è pari a 8,1 volte quella degli operai e 5,4 volte quella degli impiegati.

 

Suddividendo i lavoratori dipendenti per classi di retribuzione lorda annua, emerge che 171 mila lavoratori (pari al 39,6% del totale) percepiscono retribuzioni inferiori a 15.000 euro, di cui 119 mila ne percepiscono addirittura meno di 10.000 euro (27,5%): dunque un lavoratore su quattro ha una retribuzione e al di sotto della sotto della soglia di povertà.

Se si osservano i livelli retributivi nelle varie regioni italiane, emerge che le regioni con le retribuzioni più alte sono la Lombardia, il Piemonte e l’Emilia Romagna. Le Marche si collocano al 10° posto, ultima delle regioni del Centro.

 

Rimarcano Barbaresi e Santarelli che “questi dati mettono in evidenza come i livelli salariali siano complessivamente troppo bassi e fortemente diseguali. La discontinuità lavorativa, così come il part time spesso involontario, o una combinazione di entrambi le condizioni, hanno pesanti ripercussioni sui livelli salariali percepiti e il fatto di avere un lavoro non sempre mette al riparo dal rischio di povertà, soprattutto i giovani e le donne”.

 

“E se c’è bisogno di una nuova politica salariale, occorre agire su due fronti: contrattazione e fisco.

Vanno rapidamente rinnovati i Contratti nazionali: sono attualmente oltre 350 mila i lavoratori dipendenti marchigiani, pubblici e privati, in attesa di vedersi rinnovare il CCNL.

E’ urgente poi una riforma fiscale che, garantendo equità e progressività, riduca il peso fiscale sui salari a partire da quelli più bassi”.