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LAVORO FEMMINILE, MOSTRATI A MACERATA I RISULTATI DEL PROGETTO RIPARO

Lavoro nelle Marche

lavoro-donnaANCONA 27 FEB.  Il lavoro delle donne con il supporto della ricerca e la spinta verso l’innovazione in tempo di crisi: questo il tema dell’incontro a Macerata, ieri, nella Biblioteca Bozzi Morgetti. Tematica decisiva affrontata e sviscerata in un anno di studi dalla ricerca Riparo, ripensare le pari opportunità, condotta dall’Osservatorio di Genere di Macerata, promossa dall’assessorato ai Diritti e Pari Opportunità della Regione con capofila il comune di Macerata insieme alle Università di Camerino e Macerata.

Riparo è uno studio del presente da cui scaturiscono proposte innovative in materia di pari opportunità. “La riflessione sulla condizione professionale e il benessere delle donne marchigiane – ha detto l’assessore ai Diritti e pari opportunità, Paola Giorgi, nel presentare i dati – manifesta l’esigenza di dare concretezza al tema della parità attraverso una visione nuova della diversità che da divario da colmare diviene strumento di inclusione e crescita. E in questa ottica si inserisce appieno la puntualizzazione emersa da Riparo di un Diversity Managment nel mondo dell’impresa capace di valorizzare nei vari aspetti economico, sociale e del benessere, il lavoro delle donne. Da qui anche il possibile sviluppo di una nuova figura professionale, la cui formazione e il successivo inserimento lavorativo, anche attraverso lo strumento delle borse lavoro, può trovare strumento di realizzazione nel programma FSE”.

La seduta si è svolta con tutti i soggetti che hanno contribuito alla realizzazione della ricerca con relazioni di approfondimento delle istituzioni coinvolte e dei partner progettuali (Coldiretti, CGIL, CISL, UIL, CNA, Università). Alla tavola rotonda anche alcune studentesse degli istituti superiori di Macerata già coinvolte dall’Osservatorio in un’attività di progettazione sulle differenze di genere.

Lo studio è stato realizzato con la fattiva collaborazione delle donne, sia imprenditrici che lavoratrici dipendenti, nel contesto economico regionale caratterizzato da piccole e medie imprese. “Un dato importante – rileva Giorgi – perché ha analizzato un contesto specifico, come quello marchigiano, caratterizzato da un tessuto economico basato sulla piccola e media impresa. Generalmente le statistiche raccontano situazioni diverse, più riferibili a modelli di grandi imprese: questo dà un forte tratto distintivo allo studio che potrebbe essere proposto anche ad altre Regioni con tessuto socio economici simili, penso ad esempio al Veneto. Altro dato emerso è l’interesse delle donne imprenditrici verso l’agricoltura, con un lavoro che, specialmente le imprenditrici, definiscono innovativo: questo dato deve far riflettere anche su scelte di carattere politico nei confronti di questo settore che da tradizionale assume un carattere sempre più strategico per la nostra economia”.

L’attività di ricerca ha permesso di approfondire la condizione lavorativa delle donne nel settore tessile-calzaturiero con un’indagine quantitativa, la realtà delle imprese agricole con la compilazione di questionari semi-strutturati e ha permesso di realizzare focus groups di approfondimento della realtà operativa di diverse imprese artigiane marchigiane a conduzione femminile.

A chiusura del convegno è stato proiettato il trailer del film documentario Physique du rôle, ispirato al progetto ‘Riparo’ e realizzato dalla fim-maker Silvia Lucani. Per scelta dell’Osservatorio di genere, è stato finanziato con il sistema del crowdfunding, una tipologia che valorizza l’idea e la condivide con i cittadini che scelgono di supportarla.

 

 

SCHEDA

Cosa emerge dall’analisi dei dati  

Per quanto riguarda il settore tessile-calzaturiero in collaborazione con le tre sigle sindacali (Cgil-Cisl-Uil) sono state intervistate lavoratrici dipendenti (operaie generiche, qualificate e impiegate) emerge che la formazione viene intesa per lo più come funzionale al lavoro che le donne intervistate già svolgono: infatti il 26% di queste afferma che vorrebbe acquisire una formazione specifica per migliorare la mansione svolta; l’11% che vorrebbe acquisirla per ottenere un aumento salariale e solo il 4,10% per ottenere un avanzamento di carriera; ben il 23% dichiara invece di non avere tempo da dedicare alla formazione e il 12,8% dichiara che sarebbe inutile mentre il 5,6% non risponde. Le donne che non vorrebbero acquisire una formazione specifica sono il 41,4%. Alla domanda “Qual è il maggior riconoscimento ricevuto in azienda?” il 48% risponde di non aver mai avuto alcun riconoscimento; il 19% di aver avuto un riconoscimento per la correttezza dimostrata con le/gli colleghe/i; l’11% di aver avuto un riconoscimento per la propria bravura e precisione (doti anche molto femminili, a volte purtroppo stereotipizzate); l’11% di aver ottenuto un aumento salariale e il 7% di aver avuto un riconoscimento per aver rispettato i tempi di produzione. Il tasto dolente riguarda la conciliazione: il 23,3% delle donne intervistate dice di non aver mai utilizzato nessun strumento di conciliazione. Mentre il 36% delle lavoratrici dice di aver utilizzato uno strumento “tradizionale” e tipico di una fase “pre-politica di conciliazione” e cioè i permessi, solo l’8% di esse dichiara di aver utilizzato il part-time e il 12,4% il congedo parentale. Pochissime lavoratrici hanno scelto l’opzione di risposta Lavoro a distanza che invece potrebbe  rappresentare in molte aziende una formula efficace di allontanamento dal posto di lavoro. Nonostante l’impegno sul fronte della conciliazione da parte delle istituzioni (si pensi ad esempio al Protocollo d’Intesa “Per la promozione di azioni positive volte a favorire la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro” siglato il 5 febbraio 2014 dall’Assessore ai Diritti e alle Pari Opportunità Paola Giorgi e dalle tre sigle sindacali, dalla Cna, da Confindustria e altre organizzazioni datoriali) il sostegno maggiore alle donne che lavorano arriva dal coniuge/convivente (32,7%), dai genitori/suoceri (24,2%), o genericamente dai familiari (11%). Il 21,3% delle donne intervistate risponde di non avere nessun tipo di aiuto, solo il 3% ricorre alle strutture pubbliche per conciliare vita familiare e vita professionale e il 3,6% a strutture private. Lo scarso utilizzo dei servizi (sia privati che pubblici) evidenzia due tendenze: la prima di scarsa diffusione e la seconda di scarso utilizzo degli strumenti di conciliazione.

Nel settore agricolo, in collaborazione con Coldiretti, sono state intervistate le imprenditrici. Dall’analisi dei dati emerge una realtà molto vivace soprattutto laddove a capo dell’azienda vi è una donna di una età compresa fra i 30-40 anni. Se è vero che per il 27% delle imprenditrici la scelta di lavorare in agricoltura è stata fatta per continuare l’attività di famiglia, per il 48% ha rappresentato una opportunità mentre per l’8,1% è stata una necessità dettata dalla crisi. Il 2,8% rispondendo “altro” ha definito il lavoro in agricoltura “Una sfida”. Alla domanda su quale sia la percezione di una donna alla guida di una azienda agricola il 48,6% risponde di non essersi mai posta il problema. La seconda opzione di risposta, “Come quella di un uomo: contano le capacità” aggiunta quasi come una sfida ha accolto molti consensi (35%), e mette in evidenza quanto il merito e le capacità contino quando si tratta di guidare un’azienda. Un dato sorprendete sebbene frammentato è quello che emerge dalle risposte che riguardano l’identità professionale: l’identikit è quello di una donna innovatrice (26,5%), pratica (24,4%) e creativa (20,4%); una donna attenta alla operatività, al pragmatismo e insieme all’elemento dell’innovazione che poi è legato alla passione per il lavoro. Alla domanda su quali siano le criticità che una donna incontra nell’aprire e nel condurre un’azienda agricola emerge chiaramente che le maggiori difficoltà sono di tipo economico (81%): questo dato conferma ciò che già è emerso da altre ricerche sulle imprese femminili circa le differenze di opportunità di genere in ambito finanziario (si pensi ad esempio alle richieste di garanzie rivolte più alle donne che agli uomini, un minor accesso al credito per impresa individuale femminile, tassi di interesse più elevati). Paradossalmente queste criticità permangono in un momento in cui le statistiche ci dicono che aumentano le donne imprenditrici e titolari di imprese così come aumentano le donne che percepiscono stipendi più alti degli uomini. Anche nel caso delle imprenditrici la conciliazione non c’è e se c’è non passa attraverso il congedo parentale (8%), strumento poco vicino alle dinamiche delle imprese femminili: il 56% delle imprenditrici dichiara di non aver utilizzato nessuno strumento di conciliazione e solo il 16,6% risponde di aver utilizzato il part-time e il 10,4% gli orari flessibili. Di nuovo a sostenere le donne nel compito di conciliare sono il coniuge/convivente (63%) e i genitori/suoceri (20%). Ancora una volta è la famiglia a permettere la conciliazione tra vita professionale e vita familiare.

Infine dai focus group, organizzati in collaborazione con la CNA in provincia di Ancona, Macerata e Ascoli Piceno, emerge che c’è una grande attenzione alla formazione che è intesa o comunque percepita come necessaria per sviluppare l’azienda e migliorare la qualità del prodotto. Le imprenditrici artigiane che hanno partecipato ai focus confermano le tendenze emerse dai questionari: la conciliazione non c’è e l’aiuto maggiore arriva dalla famiglia e dalla rete familiare. La criticità su cui le imprenditrici insistono riguarda la mancanza di tutele e la necessità di intervenire con delle misure pensate su misura per le imprenditrici soprattutto per quanto riguarda la maternità e la malattia. Sul fronte della discriminazione, così come per le imprenditrici agricole, viene percepita soprattutto da un punto di vista economico.